La playlist per il disagio accademico nasce dal complesso fisheriano dell’inaridimento della ricerca, della sclerosi della scrittura persa in un mondo burocratizzato e davvero poco friendly come, per l’appunto, l’università.
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King for a day (fool for a lifetime) – Faith No More – diffida dai riconoscimenti
Già dal loro nome i Faith No More – così come Public Enemy e Rage Against the Machine – potrebbero essere il nostro gruppo di studio. Era il 1997 e cantavano:
You sniff the glass and let it roll around on your tongue
Let me introduce you to someone before the party is done
Someone to look to in need or in want or in war
If you give him everything, he may give you even more
La canzone racconta di una festa a cui tu ovviamente sei l’invitato minore, ma allo stesso tempo quello che necessita di più in termini di spinte relazionali. Per lo meno questo è quello che crede il nostro consesso ben vestito. Siamo al party dell’ennesimo convegno internazionale che, tu ed io, abbiamo organizzato e di cui qualcuno altro si è preso il merito per poi lasciarci le briciole della speranza dicendo “Let me introduce you to someone before the party is done”. Il party finirà e tu ti sarai ubriacato con un altro tuo simile di una università dell’est. Uno/a che ha fatto il dottorato a 32 anni e che cerca di farti capire – anche se già in partenza condividi tutto – che fare il dottorato dopo la magistrale equivale a rubare soldi alla ricerca perché nessuno, nell’attuale università a fine magistrale, è in grado di costruire una ricerca così solida come quella richiesta da un dottorato. O questo, almeno, è quello che hanno detto a te.
La crescita individuale è posticipata all’infinto. A 25 anni è come se ne avessi 10. Quella collettiva non è neanche presa in considerazione. Nel dottorato rimani solo per tre anni con la tua ossessione. È una cosa che nasce dal fondo e proviene dal freddo. Non può esistere nella accuratezza di un percorso accademico di velluto. Non può essere fatta tra le braccia della bàlia ma in balía. Tu, io e l’est, abbiamo fatto il dottorato senza borsa di studio dopo aver provato per anni a mettere a tacere quella voce che diceva “ricerca”. Come verbo, non come sostantivo. Come imperativo, non come imperatore. Abbiamo lavorato, siamo stati fuori e abbiamo messo alla prova il nostro desiderio di ricerca. Ci dicevamo: “se continua ancora a farsi sentire, vuole dire che devo ascoltare”. Abbiamo fatto delle visite mediche accurate perché ci dicevano che questa voce non esisteva e la sentivamo solo noi. Già ci trattavano da pazzi. Già volevano prescriverci qualcosa. Volevano pre-iscrivere la malattia nelle nostre storie di modo che la trovassimo quando con la mente saremmo tornati indietro all’origine. Quando, di fronte ad un terapeuta, avremmo dovuto ripercorrere i nostri rimossi. Abbiamo provato ad allontanare quella voce nei bar in cui servivamo, nelle cucine in cui sgrassavamo i piatti, nelle scuole in cui insegnavamo, ma nulla da fare. Mentre facevamo tutto questo, ovvero mentre vivevamo, tu hai avuto un figlio, io ho perso un fratello e preso un cane. Siamo andati in fade out come la voce nella musica dub secondo Mark Fisher. Siamo rimasti spettrali e, in realtà, non stiamo partecipando a questo party, ma lo stiamo infestando. Questo è il nostro Overlook Hotel. Qualcuno poi ti tira addosso un lenzuolo e ti mette le catene. Ed ecco che il fantasma invisibile diventa schiavo. Quella schiavitù è fatta di promesse “If you give him everything, he may give you even more”. È fatta di sentito-dire. Forse un concorso in un’università a 560 km da casa tua, dove servono tre cambi di treno e otto ore per arrivare, fare due ore di lezione e tornare. Poi devi trovarti un posto dove dormire a tue spese. Esatto, verrai pagato in spese. Le tue. Ti diranno che è gavetta. Ma loro non l’hanno mai fatta. Ti diranno che è sacrifico. Ma nessuno di loro ha versato una sola goccia di sangue. Chi l’ha fatto, invece, ti dirà “sei sicura/o?” perché sa che è l’Inferno.
Quella promessa è la nostra condanna a morte. La sirena, e noi non abbiamo tappi. La promessa diventa così trappola nel momento in cui il favore di segnalarti – perché non esiste la tua competenza se anche il Ministero dell’Istruzione si chiama Ministero del Merito – si trasforma in credito. Il credito, lo dicevano ancora Moten e Harvey non è dono né debito. Il debito dimentica, il credito “torna e rivendica” e questo lo diceva Danno. Per un attimo, così, diventi re. Un giorno solo.
“Che farà mio signore di questa sua ricchezza e di questo suo potere?” chiederà il popolo
“Nulla, perché non avrò tempo di godermelo” risponderai tu, il re.
E così, quell’unico giorno di ricchezza passerà correggendo bozze. Tu ed io siamo delle bozze. Nel discorso accademico siamo il file non salvato, oppure quello su cui hanno messo mano altri dieci revisori. Posso tornare ad essere un fool? Posso smettere di non esserlo? La mia testa ha ancora tutti i capelli. Non ho maturato quella chierica che solo una corona può nascondere. Diffidiamo dal riconoscimento degli irriconoscenti. Mordiamo quella mano perché non è cibo quello che ci porge, ma veleno. E comunque mentre uscivamo dal party, abbiamo rubato tutti i rustici.
ERM
Newsletter numero dieci_ aprile 2024